01 Set Le conseguenze psicologiche della pandemia
Allo stato attuale delle conoscenze circa la diffusione del virus SARS-CoV-2/Covid19 non è possibile prevedere quando la situazione di emergenza cesserà e quali saranno le conseguenze psicologiche della pandemia. Dobbiamo inoltre considerare che la fine di un’epidemia o di uno stato di emergenza può essere valutata su diversi piani, con conseguenze differenti a seconda degli aspetti su cui ci focalizziamo.
Se da un punto di vista tecnico, infatti, una pandemia viene dichiarata conclusa quando non ci sono più casi di persone infette, da un punto di vista sociale l’emergenza legata all’epidemia finisce quando le persone iniziano a comportarsi come se l’epidemia stessa fosse superata. In quest’ottica possiamo osservare che la reazione estiva di molte delle popolazioni colpite attualmente dal Covid19 e sottoposte ad un periodo di lockdown durante la primavera è stata proprio quella di tornare a vivere all’aria aperta, frequentare locali, fare vacanze normalmente, in alcuni casi non rispettando le misure di sicurezza consigliate dai tecnici e dalle autorità per evitare che il virus si diffonda ulteriormente. In questo senso potremmo dire che la fine sociale della pandemia sta anticipando la sua fine tecnica, con tutte le conseguenze positive (ripresa della vita sociale, attività lavorativa, ecc.) e negative (rischio di una nuova ondata) che questo comporta.
Oltre al punto di vista tecnico e a quello sociale è utile soffermarsi su un terzo aspetto, la fine psicologica della pandemia. Ciò che è successo nel primo semestre del 2020 ha avuto un impatto psicologico importante su ampie porzioni della popolazione, sicuramente su molti di coloro che avevano già una fragilità psicologica prima dell’inizio del lockdown, ma anche su chi ha vissuto da vicino la malattia in prima persona o attraverso famigliari e conoscenti, così come sul personale medico-ospedaliero e chi ha dovuto effettuare uno sforzo notevole per mantenere il sistema sanitario sempre operativo, chi ha dovuto lavorare esposto necessariamente al contatto con il pubblico durante il picco dell’epidemia, come chi lavora in cassa al supermercato o ai corrieri che effettuano consegne a domicilio. Pensiamo anche agli anziani e a chi vive da solo o in condizioni di difficoltà ed è stato bombardato mediaticamente per mesi da informazioni con titoli catastrofici.
Le ricerche che sono state effettuate in questi mesi e quelle svolte a seguito delle epidemie più importanti della storia recente ci restituiscono un quadro psicologico di assoluta importanza, dove possiamo renderci conto di quali siano i rischi che ricadranno sulla salute mentale della popolazione. Tre studi italiani recenti ci forniscono alcuni dati.
Il primo è stato condotto dal Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino e pubblicato su The Canadian Journal of Psychiatry. In questo studio si evidenzia come, a seguito dello sviluppo dell’epidemia, il 69% della popolazione italiana esaminata manifesti sintomi di tipo ansioso, il 31% manifesti sintomi di tipo depressivo e il 20% sintomi da stress post-traumatico, che con il passare del tempo potrebbero evolversi in un vero e proprio disturbo. I soggetti maggiormente a rischio sarebbero quelli di sesso femminile, le persone con scarsa scolarizzazione e chi ha avuto contatti con persone che hanno contratto il Covid19.
Il secondo studio, sempre dell’Università di Torino, è stato condotto sui lavoratori del settore sanitario che sono stati in servizio nel periodo di maggiore criticità dell’epidemia ed è stato pubblicato sul Journal of Evaluation in Clinical Practice. In questo campione di medici e infermieri sono stati riportati livelli importanti di depressione e stress post-traumatico, anche in questo caso i soggetti femminili sono stati segnalati come maggiormente a rischio.
Il terzo studio è stato condotto dall’ospedale San Raffaele di Milano e pubblicato su Brain, Behavior and Immunity. Questo studio è stato condotto sui pazienti dimessi dall’ospedale dopo essere guariti dal Covid19 e riporta che oltre la metà di questi ha sviluppato problematiche di tipo psicologico, in particolare il 28% ha riferito disturbi da stress post-traumatico, il 31% depressione, il 42% disturbi di tipo ansioso, il 40% problemi di insonnia e il 20% sintomi ossessivo-compulsivi.
Lo studio più approfondito è probabilmente quello pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet Psychiatry e condotto da un’equipe multidisciplinare di studiosi. In questo lavoro, oltre alle già citate problematiche relative all’ansia, depressione e disturbi da stress post-traumatico, si pone in evidenza come nei periodi successivi alle precedenti gravi epidemie siano aumentati nella popolazione i comportamenti a rischio di suicidio e di autolesionismo, soprattutto per chi ha vissuto in isolamento e solitudine i momenti più intensi dell’epidemia. Questi comportamenti, per quanto riguarda le epidemie del passato recente, sono stati messi in atto anche in periodi successivi e distanti dalla conclusione della problematica sanitaria. Lo studio sottolinea anche come il disagio psicologico possa essere condizionato negativamente dalla situazione sociale conseguente alla pandemia con una possibile crescita della disoccupazione e problemi finanziari diffusi. Le limitazioni all’apertura degli spazi pubblici e lo smart working da casa, inoltre, diminuirebbero le occasioni di incontro sociale e potrebbero influire negativamente sullo sviluppo delle reti sociali di sostegno che ogni persona costruisce nella sua vita, così come la chiusura delle scuole, che sono tra i primi luoghi in cui gli adolescenti chiedono aiuto in caso di difficoltà. Infine sarebbero da valutare i possibili effetti a lunga distanza per chi ha contratto un virus che infetta il sistema nervoso centrale come il Covid19: nel caso dell’influenza spagnola del 1918-20, ad esempio, alcuni degli effetti collaterali a livello cerebrale sono emersi a distanza di anni o addirittura decenni.
Questi dati ci possono fare riflettere su quanto siano importanti gli aspetti psicologici dell’attuale pandemia e quanto sia necessario attivare strategie atte a sviluppare una rete di servizi in grado di offrire il necessario supporto psicologico alla popolazione per gli anni a venire, agendo su più livelli: in presenza, on-line, telefonicamente, nei luoghi di aggregazione, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, ecc. Non sarà solo una sfida per limitare i danni dell’attuale pandemia, sarà un passo fondamentale per costruire le basi di una nuova metodologia di lavoro in campo psicologico e sanitario, maggiormente preparata ad affrontare emergenze di questo tipo anche nel futuro, quindi maggiormente in grado di tutelare la salute degli individui sotto tutti gli aspetti.